Rischiamo di sognare pecore elettriche?
Le neurotecnologie: tra sogni di potenziamento e timori distopici
di Luciano Lombardi, 3G
Immaginate un mondo dove i nostri pensieri sono in balia delle macchine, dove un sensore può captare un comportamento ritenuto “sbagliato”, per poi correggerlo con un lavaggio del cervello cibernetico. Oggi è possibile solo in un romanzo distopico, ma quanto tempo ci separa dal giorno in cui tutto questo sarà realtà?
Per saperlo occorre prima fare un passo indietro, più precisamente nel 1924, anno in cui lo psichiatra tedesco Hans Berger ha scoperto l’encefalografia: lo studio dell’attività elettrica dell’encefalo. Si è così aperta la strada allo studio delle onde cerebrali.
Nel 1973, Jacques Vidoza, un ricercatore della University of California: Los Angeles, teorizza per la prima volta il concetto di interfaccia cervello-computer (in inglese brain-computer interface, BCI), ovvero un dispositivo in grado di mettere in contatto l’attività elettrica del nostro cervello con un dispositivo esterno, come un computer.
Dopo anni di ricerca, nel 2004 è stata per la prima volta installata una BCI su un essere umano. Siamo al Massacchussets General Hospital di Boston dove la vita di una promessa del football americano, Matt Nagle, è stata sconvolta da una coltellata alla nuca, che recidendo di netto il midollo spinale lo ha paralizzato dal collo in giù. Gli è stato installato sulla corteccia cerebrale un chip, progettato dalla Blackrock Neurotech, di quattro millimetri quadrati e composto da 96 microelettrodi in silicone. L’esperimento è un successo: per circa un anno, il giovane atleta è stato in grado di operare con la forza del pensiero su un computer, leggendo email, comandando la tv e perfino controllando un braccio robotico.
Esistono diversi tipi di interfaccia, dalle meno invasive applicate sullo scalpo, a quelle più invasive che invece vengono applicate direttamente nel tessuto nervoso. Tutte hanno in comune il medesimo concetto di base: l’accoppiata di un sensore capace di captare l’attività elettrica del cervello e di un algoritmo, in grado di decifrarla e tradurla. Le potenzialità delle BCI sono virtualmente illimitate: possono combattere la paralisi, collegando l’interfaccia ai muscoli o ai nervi del paziente invece che a un dispositivo esterno, possono anche ripristinare la capacità di parlare sia con la propria bocca che con una protesi esterna alla velocità nativa del linguaggio con un bassissimo tasso di errore. Entrambe le tecnologie sono già state sperimentate con successo e sono a un passo dall’essere messe in commercio. In futuro si pensa alla possibilità di agire su patologie come il Morbo di Parkinson o addirittura depressione e anoressia, attraverso la stimolazione cerebrale profonda.
Il perfezionamento delle neurotecnologie rivoluzionerà la medicina, ma allo stesso tempo renderà possibili inquietanti applicazioni extra-sanitarie, come leggere nella mente, modificare il comportamento, monitorare l’efficienza dei lavoratori e anche il neuroenhacement: il potenziamento delle capacità cognitive umane.
Anche Elon Musk si è messo in gioco con la sua Neuralink, dichiarando interesse su quest’ultimo tema. A gennaio di quest’anno, ha impiantato per la prima volta Telepathy (il suo chip) in un cervello umano. A detta di Neuralink, la sperimentazione procede regolarmente, ma i metodi della compagnia sono fonte di grandi perplessità: non vengono pubblicati né i risultati degli esperimenti, né le effettive condizioni dei volontari e vi sono anche controversie riguardanti i test condotti sugli animali. Un eventuale scandalo legato alla società di Musk metterebbe in ginocchio tutte le altre aziende di questo settore, incluse quelle che operano in modo conforme all’innovazione responsabile e all’integrità della ricerca.
Le neurotecnologie possono accedere direttamente alla struttura del cervello, manipolarla ed emularla, e con essa produrre informazioni sulle nostre identità, sulle nostre emozioni e sulle nostre paure.
Combinando l'intelligenza artificiale, possono facilmente diventare una minaccia per l’identità umana, la dignità umana, la libertà di pensiero, l’autonomia, la privacy mentale e il benessere.
Per prevenire ogni forma di agghiacciante scenario distopico, le organizzazioni internazionali OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e UNESCO si sono mobilitate per raccomandare ai governi e agli innovatori di non ignorare nell’abilità tecnica e nel processo tecnologico le questioni etiche.
Eppure, anche nella utopistica ipotesi di un mondo in cui i neuro-diritti siano perfettamente tutelati, rimane la questione etica. Fino a che punto potrà spingersi l’intervento della tecnologia sul cervello umano, senza disumanizzarlo? E con quali finalità?
E voi, sareste disposti ad accogliere un microchip nel vostro cervello, o temete di perdere voi stessi e di sognare pecore elettriche?