Diritto allo studio ma dovere alla consapevolezza
a cura di Zeno Salimbene 5C
In questi giorni che sembrano riportare alla luce spettri spaventosi del passato, tra terrorismo e opposizione ad esso, offensive, difesa, eserciti e catastrofi, mi pare doveroso ricordare quanto di più lontano c’è dalla guerra, ossia l’educazione. Per far ciò non si può, tuttavia, prescindere dai contesti socio-politici dell’attualità e anzi proprio in questa attualità deve collocarsi la riflessione.
Il diritto allo studio è qualcosa di molto vicino a noi, al punto da diventare pericolosamente scontato. È giusto farsi domande sul come modificare il sistema scolastico, o più semplicemente sul come tirare avanti con rendimento, adoperare tecniche e sviluppare opinioni attorno al modello della scuola, senza ciò non si progredirebbe, tuttavia è altrettanto importante interrogarsi sulle implicazioni del nostro avere “diritto allo studio” e soprattutto rivalutarne l’importanza.
Per diritto si intende una facoltà tutelata e garantita dalla legge, “diritto allo studio” implica che ogni essere umano, di qualsiasi nazionalità, classe sociale, sesso, religione, fede politica, possa accedere all’istruzione e farne uso per emanciparsi come individuo, cosa peraltro ribadita nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sancita dall’ONU.
Secondo un rapporto di Save the Children, pubblicato nell’ottobre del 2022, la già precaria stabilità del diritto internazionale all’istruzione sarebbe stata minata ancora di più dalla pandemia, dalle catastrofi climatiche e dall’inasprimento dei conflitti registratosi nel corso di pochi anni, nonché da povertà e arretratezza. Tra i paesi che maggiormente limitano i diritti degli studenti (si parla soprattutto di bambini) ci sono Afghanistan, Sudan, Somalia e Mali. Nel primo caso il peggioramento delle condizioni legate alla libertà d’istruzione è stato registrato in concomitanza con la presa del governo statale da parte di movimenti Talebani, nel caso di Sudan e Mali si è registrato un ulteriore peggioramento nel corso dell’annata 2021/22.
Le scuole che sono state distrutte nel corso dell’attuale conflitto tra Israele e Palestina sono la riprova del fatto che non è possibile il coesistere di una realtà bellica ed una educativa, a meno che l’educazione non sia, in sé stessa, finalizzata alla guerra, come accade sotto regimi di tipo militare che compromettono egualmente l’affermazione e lo sviluppo dell’individuo.
In questo contesto si torna alla questione originaria, ossia qual è l’implicazione del nostro avere diritto di studiare. Ebbene, oltre che rivalutare le grandi possibilità che una posizione di apparente non belligeranza ci concede, bisognerebbe prendere sul serio questo diritto allo studio e farne uno strumento per tentare di cambiare il sistema vigente. Dati alla mano, i paesi nei quali sono più frequenti i casi di sfruttamento minorile, matrimoni infantili, prostituzione e delinquenza sono proprio quei paesi che, spremuti dalle grandi potenze occidentali per qualche litro di petrolio o bersagliati da nemici ugualmente poveri, non garantiscono un’istruzione ai propri cittadini, i quali, di conseguenza, non sono messi nelle condizioni di poter cambiare l’assetto delle cose.
Per questo è necessario operare, forti delle conoscenze apprese grazie alla nostra istruzione, per il bene dell’istruzione altrui, perché senza questa il mondo non si cambia e di certo non si sposta dalla confortevole posizione in cui si trova attualmente, che schiaccia alcuni e favorisce altri. Senza la capacità di comprendere la storia e l’abitudine al pensiero, è impossibile conoscere sé stessi e liberarsi e per i cittadini affermarsi come esseri umani pensanti.