Gli alieni sanno di noi?

Ecco come potrebbe apparire il nostro prossimo messaggio verso lo spazio

di A cura di Emma Barberis e Giulia Pedata, 3I

Era il 1977 quando la NASA inviò nello spazio le sonde Voyager 1 e 2, destinate a viaggiare verso l’ignoto. Oltre a strumenti scientifici, le sonde portavano un messaggio speciale: due dischi d’oro, i famosi Voyager Golden Records, pieni di immagini, suoni e informazioni sulla Terra, una sorta di “capsula del tempo” cosmica, destinata a raccontare chi siamo a eventuali civiltà extraterrestri.

Ma oggi, a oltre quarant’anni di distanza, ci stiamo chiedendo se dobbiamo spedire un nuovo messaggio nello spazio, e se sì, cosa dovremmo raccontare?

I Golden Records originali contenevano informazioni come raccolte di suoni naturali, saluti in 55 lingue, brani musicali che andavano da Mozart a Chuck Berry, il teorema di Pitagora, e  immagini che rappresentavano la vita sulla Terra, dal DNA a scene di vita quotidiana, come una donna che fa la spesa. Sulla copertina si trovavano invece le istruzioni per decifrarli e una mappa del nostro Sistema Solare.

Si tratta dunque di un progetto geniale, ma anche una scommessa audace: le sonde impiegheranno infatti 40.000 anni per raggiungere la stella più vicina, e chissà se qualcuno sarà lì per riceverle e sarà effettivamente in grado di comprenderle.

Oggi, gli scienziati immaginano come aggiornare quel messaggio, tenendo conto dei cambiamenti sociali e tecnologici degli ultimi decenni. Secondo un articolo pubblicato su AGU Earth and Space Science, un nuovo “messaggio in bottiglia” dovrebbe essere più ricco e inclusivo, ma anche diviso in due parti: una semplice, destinata a civiltà meno avanzate, ed una più complessa e in digitale per eventuali destinatari tecnologicamente evoluti 

Ma perché dovremmo inviare questo segnale? 
Le probabilità che il nostro messaggio venga intercettato sono infinitesimali, ma il valore simbolico è immenso. È come scrivere una poesia e affidarla al vento: un gesto che è segno di speranza, dell’esplorazione e del desiderio di connessione con ciò che c’è là fuori nell’universo e che ci è tanto ignoto.

In un’epoca in cui siamo più connessi che mai, forse è il momento di ricordare che non siamo solo cittadini della Terra, ma del cosmo intero. E chissà, forse un giorno, quel piccolo frammento di umanità mandato nello spazio potrebbe trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo.
E voi cosa avreste messo in questa capsula del tempo?

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