L’infinito nella matematica e il secolo di Giacomo Leopardi

di Nicole Raccah, Liceo Azzarita

Il 21 settembre 2023 alcune classi del liceo Azzarita si sono recate alla Sapienza in occasione della Settimana della Ricerca. Sono stati proposti diversi seminari, tra cui quello del Prof. Piccinni sul tema dell’infinito, un concetto estremamente particolare, che l’uomo cerca di indagare da diverse centinaia di anni. Dalla letteratura alla matematica, l’infinito può essere interpretato con molteplici sfumature e differenti accezioni.

Il Professore ha aperto il suo seminario spiegando che l’infinito ha la fama di aver provocato più di una crisi nella storia della matematica.

Il simbolo che noi oggi conosciamo fu creato nel 1655 da J. Wallis ma cominciò ad essere usato solo nei primi anni del 1900, a dimostrazione di come il concetto di infinito fosse prima di allora considerato inafferrabile.

La prima crisi matematica di cui ha trattato il seminario risale al VI-V secolo a.C., quando alla scuola Pitagorica si scoprì l’irrazionalità di radical2. Un numero irrazionale è un numero che non è possibile esprimere come rapporto di altri due numeri e che presenta infinite cifre decimali che si susseguono senza periodicità. Secondo il teorema di Pitagora, un quadrato con lato uguale a 1 ha la diagonale uguale a radical2; per i Pitagorici, però, i segmenti erano insiemi finiti di “punti unità”, secondo questa teoria lato e diagonale del quadrato avrebbero dovuto avere un rapporto razionale. A scoprire l’irrazionalità della radice di 2 fu Ippaso di Metaponto, un filosofo e matematico greco della scuola pitagorica che, secondo la leggenda, fu ucciso dai componenti della scuola stessa per aver divulgato la sua scoperta che smentiva la teoria del “punto unità”.1

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Il Prof. Piccinni ha in seguito presentato alcuni versi del trentatreesimo canto del Paradiso di Dante, che fanno riferimento a un problema classico della geometria. “Qual è ’l geomètra che tutto s’affige/ per misurar lo cerchio, e non ritrova,/ pensando, quel principio ond’ elli indige,/ tal era io a quella vista nova:/ veder voleva come si convenne/ l’imago al cerchio e come vi s’indova;” (vv. 133 – 138). In questi versi Dante paragona il suo stupore e la sua incapacità di capire tutto ciò che di nuovo ha davanti a quelli del “geometra”, incapace di comprendere la quadratura del cerchio (“per misurar lo cerchio”). La quadratura del cerchio è un problema classico della matematica, che si prefigge l’obiettivo di costruire con riga e compasso un quadrato che abbia area uguale ad un cerchio dato. L’impossibilità di tale costruzione è conseguenza della trascendenza di p (contenuto nella formula dell’area del cerchio), dimostrata solo nel 1882. Il numero era noto dall’antichità, e fu Archimede a cercare una sua approssimazione , arrivando ad immaginare il cerchio come un poligono con infiniti lati.

Il Prof. Piccinni si è riferito al “secolo di Giacomo Leopardi” considerandolo un periodo che “ha visto uno straordinario sviluppo della matematica anche mediante l’attuazione di un’efficacissima sintesi di rigore e fantasia”. Se fino a metà del XIX secolo la matematica ha sviluppato la nozione di infinito in potenza aristotelica, dopo il 1850, ha sviluppato strumenti per trattare aspetti dell’infinito in atto. Il “secolo di Leopardi” è stato, infatti, il periodo in cui i matematici hanno iniziato a studiare l’infinito non come qualcosa di lontano ma come qualcosa di reale. Il Professore ha poi proiettato “L’Infinito” di Leopardi, invitandoci a leggere individualmente il capolavoro, perché, come suggerisce l’opera stessa, il silenzio è ciò che più permette all’uomo di avvicinarsi all’infinito.

“È sempre difficile dire qualcosa sul presente. Ma la matematica appare oggi sopravvissuta molto bene al “dolce naufragare” nel mare dell’infinito dove la portò il secolo di Giacomo Leopardi. Grazie per l’attenzione”. Con questa frase si è concluso il seminario, che è stato capace di mostrare la grandezza di un concetto immenso ed estremamente complesso sotto diversi punti di vista.

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