Per l’ultima volta

di Francesca Lucaroni

Per l’ultima volta, ci siamo incontrati al solito posto. 

Ha scelto lei di andare lì, forse per mostrarmi l’evidenza di ciò che da tempo mi suggeriva, ovvero che non eravamo più gli stessi di quando con la nostra casuale, ma assidua presenza avevamo reso quel posto il nostro posto. Io ho pensato di ribellarmi alla nostalgia, ma poi mi ci sono andato a rifugiare perché era l’ultima “notizia” che avevo di noi.  

Ci siamo incontrati per l’ultima volta lì, al solito posto. 

Ho scelto io di andarci, per fargli capire che mi ero sbagliata, che in fondo niente era cambiato più di tanto, se a distanza di anni sedevamo immutati in quel luogo, che invece si era trasformato intorno a noi. La familiarità di quel posto mi sembrava potesse mostrare la profondità dei nostri sentimenti, che avevo detto, senza pietà, essere diventati abitudinari.

Il bruciore del suo sguardo compassionevole posato su di me, mi ha fatto poi rinunciare a ogni tentativo di convincerla che non eravamo troppo cresciuti come diceva e che il nostro rapporto non ci andava troppo stretto. I discorsi preparati a casa, la mia nauseante speranza, mi hanno procurato una mortificazione che si è inasprita sulla lingua allappandomi la bocca. Mi sono irrigidito, con le labbra serrate e mi sono scostato un poco, qualche millimetro sufficiente affinché il contatto delle nostre braccia fosse interrotto e il freddo che si era interposto facesse intendere che avevo compreso. 

 Io l’ho guardato per indovinare cosa pensasse, in quel momento, di me e della telefonata trafelata e sfacciata dell’ultimo minuto per chiedergli di vederci di persona. I discorsi preparati durante il tragitto, la mia nauseante speranza di poter rimediare, mi hanno procurato una mortificazione che ho mandato giù, amara, senza più riuscire a parlare. Era troppo tardi, l’avevo ferito e non sarebbe più tornato indietro. Si è allontanato un po’, spalancando un gelido abisso tra di noi e incoraggiando i miei presentimenti.  

 “Allora è deciso?” Ha rotto il silenzio la sua domanda retorica. Odiosa. Come una mamma che ha bisticciato con il figlioletto e si è fatta promettere che da ora in poi lui si comporterà bene. Avrei voluto pestare i piedi e dire “No che non è deciso!”, che ero pronto a trovare un nuovo solito posto se eravamo stanchi di quello, ma non volevo farmi asciugare da lei il moccio. Non attendeva repliche. “Si” ho risposto, arreso, senza più emozioni.  

 “Allora è deciso…” ho mormorato, sperando che adesso, a parti invertite, non avrebbe infierito. Mi sentivo umiliata, stupida e scorretta. Ero stata io a dargli l’occasione di apprezzare la mia assenza.  Sarebbe stato il caso di rimangiarmi tutto, di ignorare ogni forma di coerenza e implorare di cancellare tutto come se niente fosse stato. Ma era una cosa infantile e mi sembrava più giusto assumermi il dolore del rimorso che di punto in bianco avevo deciso io stessa di causarmi. “Si” ha confermato, senza spazio per il rancore. Fui grata almeno per quello.  

 Ci siamo abbracciati e intanto cercavo di riflettere in fretta -credevo che ci sarebbe stato più tempo per noi due- su cosa avrei potuto fare per restare. Era patetico e sento ora di aver fatto un errore avendo pensato per una buona volta, purtroppo però era quella volta, all’amor proprio, quando si trattava di veri sentimenti. Ma una scelta era stata fatta, e non da me, e alla fine ho deciso di lasciare la presa perché così aveva voluto e io non volevo portare giù, a picco, entrambi, solo perché ero incapace di reagire alla stretta che dall’altra parte andava allentandosi. Immaginandomi il suo viso oltre la mia spalla e riconoscendovi la stessa impotente tristezza che sentivo pesare sul mio, tumefatto, mi domandavo chi stesse allora decidendo per noi. Avrei voluto dire ad alta voce quello che mi era saltato in mente, ma, ad un’ora dall’inizio del nostro ultimo incontro, sembrava fossimo già in quella condizione in cui ti capitano cose, fai pensieri strani e vorresti chiamare per raccontarli, ma li tieni per te perché il silenzio fra voi è diventato più usuale delle parole. Nessuno dei due ha arrestato quell’inevitabile separazione che stava avendo luogo e, infine, ci siamo ritrovati faccia a faccia, con le braccia nude penzolanti lungo i fianchi, senza sapere come.