Caravaggio: una vita in chiaroscuro
di Francesca Lucaroni
“Riposto il pennello, disegnai, con un raggio di luce, forme e colori altresì nascosti da una incommensurabile oscurità”.
Se dovessimo immaginarci un quadro di Caravaggio, ad alcuni lamperebbe subito nella mente la vista dei fasci di luce penetrante che illuminano come fari teatrali i personaggi dei suoi quadri. Altri invece, penserebbero subito al buio che li avvolge e alle tinte scure e dense che prevalgono sugli altri colori. Alcuni appassionati di Michelangelo da Merisi, che conoscono il nostro per nome, saprebbero chiamare per nome anche i suoi personaggi, ma, ad esempio, di fronte alla figura protagonista della “Madonna dei palafrenieri” si troverebbero un po’ in difficoltà nel dover scegliere tra “Vergine Maria” o “Lena”, nota prostituta romana amata dall’artista e sua modella nel ruolo della Vergine. Questi appassionati conoscono anche le controverse storie che ruotano intorno alla creazione dei quadri di Caravaggio, storie di grandi successi e oltraggiati rifiuti e i periodi della sua vita, grandiosi o disgraziati, che il nostro stava attraversando al momento della produzione dei capolavori in questione. Caravaggio intorno al 1592, a ventun anni, arriva a Roma, che è ancora estasiata dalle sublimi opere di un altro Michelangelo, il Buonarroti e di Raffaello. Nella città c’è una dilagante povertà, la Chiesa combatte sul fronte della Controriforma e Caravaggio giunge a proposito come un ciclone sovversivo. Si integra negli ambienti più sregolati e malfamati della vita mondana di Roma, vive la notte, le bettole e la compagnia delle prostitute, ma dai sobborghi romani il suo talento a poco a poco giunge fino alle corti ecclesiastiche e seduce cardinali illustri come Francesco Maria Del Monte. Gli esimi committenti hanno poco potere sull’estro di Caravaggio, che al contempo li sconvolge e li ammalia. Tra le sue prime opere romane, il “Bacchino Malato” dà un volto al giovane artista. Il dio dell’ebbrezza e del vitalismo sfrenato ci appare come un giovane malconcio, verdastro, malato. Quel giovane è Caravaggio, al momento della realizzazione del quadro, in convalescenza dopo un grave incidente a cavallo. Caravaggio a Roma alloggiava in quello che oggi si chiama Vicolo del Divino Amore e ora nelle sue camere dormono i turisti di un bed and breakfast. La stanza dove dipingeva ce l’ha indicata lui stesso, grazie ad una finestrella che scavò nel muro e che ha dato luce ai suoi tenebrosi palcoscenici. Nonostante la sua vita smodata, traspare una sincera e profonda devozione religiosa dalle sue opere, in cui l’uso violento della luce incarna quasi sempre la grazia divina che squarcia il buio e colpisce gli uomini. Dunque, per questo uso del chiaroscuro, i suoi quadri si fanno strada inconfondibili anche a prima vista nel panorama artistico romano, emergendo senza difficoltà per la carica emotiva che travolge lo spettatore. Caravaggio è passionale e irascibile, a volte violento e rissoso, tutti aspetti del suo carattere spigoloso che gli causano non pochi problemi con la legge. Egli dà sfogo al suo animo veemente sui poveri malcapitati che si imbattono in lui, nell’amore per le donne e, in modo efficace ed eccellente, nei quadri, che danno prova di una sensibilità e delicatezza tipiche del genio, che nasce nei contrasti, come la personalità di Caravaggio. Il rapporto con lo Stato Pontificio non è privo di asperità; Caravaggio, infatti, non si lascia cambiare e corrompere, è disposto ad affrontare le difficoltà di inscenare la storia sacra nelle vie graveolente di Roma, piuttosto che voltare le spalle a quel mondo. E così l’altra novità assoluta dell’opera di Caravaggio è il realismo crudo e lo studio dal vero dei soggetti, che non sono altro che i suoi compagni di vita: vecchine derelitte, prostitute, uomini di osteria. Quando i committenti vedono i piedi sporchi in primo piano, le rughe, la povertà e il sudiciume dei due fedeli della “Madonna dei pellegrini”, quando riconoscono le celebri cortigiane della città nelle Madonne dei suoi quadri, quando notano che i bambin Gesù tenuti in braccio hanno sette o otto anni perché sono i veri figli di quelle donne, inorridiscono e hanno paura. Dopotutto, siamo in un periodo delicato come quello della Controriforma, in cui tuttavia l’iconografia di Caravaggio si rivelò uno scenografico mezzo di comunicazione con il popolo. La censura ecclesiastica non esita a rifiutare capolavori scabrosi come la “Morte della Vergine” in cui la Vergine è un corpo scomposto dal ventre gonfio, con le gambe divaricate e le caviglie scoperte, il cui modello si diceva potesse essere la salma di una prostituta rinvenuta nel Tevere in quei giorni.
La rivoluzione di Caravaggio fu proprio quella di assimilare il dolore della vita quotidiana del popolo romano a quello dei personaggi della storia sacra, di mostrare le emozioni che contorcono il viso e che sciolgono la compostezza dei corpi, di circondare le figure sacre di miseria e bruttezza, senza alcuna idealizzazione. Il suo carattere irriverente lo rende un personaggio anticonformista e unico, ma i lati più oscuri della sua personalità ne furono anche la rovina. Se non avesse ucciso nel 1606 Ranuccio Tommasoni da Terni, suo rivale forse a causa di debiti di gioco, o di una donna, o di punti di vista politici diversi, non sarebbe dovuto fuggire da Roma con una condanna a morte a pesargli sul capo e non avrebbe dovuto iniziare il suo peregrinare, valicando anche i confini italiani. Certo, però, non avremmo nemmeno quelle opere scaturite dall’angoscia della fine dei suoi giorni, come “Davide con la testa di Golia”, nella quale la testa decapitata ha il volto di Caravaggio adulto, segnato dalla sconfitta dell’esilio, o la “Decollazione di Giovanni Battista”, nella quale la sua firma sgorga dal sangue del capo mozzato. Dopo varie peripezie che lo videro coinvolto lontano dall’Italia, con lo spettro della morte sempre presente a infestare i suoi sogni, Caravaggio si mise infine in viaggio verso casa, in attesa della revoca della condanna a morte da parte di Papa Paolo V. Durante questo tragitto, riceverà un ultimo grande dolore dovuto alla perdita del suo bagaglio contente alcuni quadri, per poi morire nel 1610 sulle spiagge di Porto Ercole, stanco e malato. L’artista dalla vita e le opere in chiaroscuro, considerato l’iniziatore della pittura moderna, dopo tanti colpi di scena, concluse i suoi giorni in una morte ordinaria e trascurabile, al contrario del mito che è diventato il suo personaggio post mortem, una morte estremamente umana, come i suoi dipinti, dove l’imperfezione, i sentimenti, il peccato e la santità tratteggiano il mondo oltrepassando i confini di Roma e della Chiesa Cattolica, portando sul palcoscenico l’umanità.