Giulio Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha

di  Riccardo Capanna

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È il 1938. Un giovane si reca alla biblioteca della Santa Sede e chiede al bibliotecario un volume sulla Marina pontificia. «Ma lei non ha nulla di meglio da fare?», risponde il bibliotecario. Il bibliotecario si chiamava Alcide De Gasperi; il ragazzo Giulio Andreotti. 

Nato il 14 gennaio 1919 a Roma, ultimo di tre figli, Andreotti non iniziò la sua vita nel lusso. La sua famiglia, originaria del piccolo borgo ciociaro di Segni, era di misere condizioni: il padre, Filippo Alfonso, era un maestro elementare e morì nel 1921; la madre, Rosa Falasca, era una casalinga. Studiò a Roma, ma trascorreva le vacanze estive a Segni con la madre e la zia Mariannina, della quale disse: «Mi allevò nella vecchia saggezza del popolo romano: non drammatizzare mai troppo: col tempo tutto si aggiusta, mantenere un certo distacco da tutto, le cose davvero importanti non sono molte». Fu la zia, quindi, a trasmettergli non solo un profondo sentimento religioso che lo accompagnerà per tutta la sua vita privata e politica, ma anche una spiccata ironia. Dopo il liceo, voleva inizialmente iscriversi a Medicina, ma la frequenza obbligatoria dei corsi gli avrebbe impedito di lavorare per portare soldi alla già povera famiglia, dunque ripiegò sulla facoltà di Giurisprudenza. Si iscrisse anche alla Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), parte dellAc (Azione Cattolica). Questultima fu lunica associazione che venne lasciata libera di operare sotto il fascismo, e il suo ramo universitario dovette affrontare la concorrenza dei Guf, i Gruppi Universitari Fascisti. Nella Fuci Andreotti fece rapidamente carriera, diventandone prima segretario e poi presidente nel febbraio 41, quando il suo predecessore Aldo Moro fu chiamato al fronte. Andreotti, invece, non poté combattere per motivi di salute. 

Dopo la guerra, iniziarono le prime riunioni dellex Ac e del mondo cattolico dellepoca che sfociarono nella creazione della Democrazia Cristiana (Dc), un partito che raccogliesse il voto dei cattolici moderati. In queste assemblee si rividero il giovane e il bibliotecario che nel loro primo incontro non si erano amati. Ma stavolta nacque un legame più profondo tra i due, fatto di stima reciproca: Andreotti trovò così il padre che non aveva conosciuto e De Gasperi il figlio che non aveva mai avuto. E questultimo, infatti, come un padre fu pieno di apprensioni nella crescita politica dellerede: pare ma non è accertato che una volta avesse detto «capace in tutto, speriamo che non sia capace di tutto». Ciononostante, De Gasperi ebbe abbastanza fiducia in Andreotti da nominarlo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei suoi governi IV, V, VI, VII e VIII (47-53), ruolo confermato da Pella sino al 54. Da sottosegretario, Andreotti ebbe una delega importante: quella al cinema. In questa veste fu rimproverato, un giorno, da papa Pio XII per lonnipresenza nel cinema e nella stampa di donne seminude. Il Pontefice mostrò un settimanale dalla copertina osé come prova. Andreotti, allora, gli chiese se la colpa fosse più del governo o della proprietà. «Della proprietà», rispose il papa. «Appunto Santità,» concluse il sottosegretario, «questa rivista è di proprietà del Vaticano». Con il pretesto del sesso, però, censurò anche chi nei film, per esempio, non rispettava a sufficienza la Chiesa. Nel mondo del cinema ebbe, però, anche un merito: fu, infatti, lautore della legge che obbligava le sale cinematografiche a dedicare almeno una parte delle proiezioni a film italiani. Fiorirono, così, Rossellini, Visconti, Fellini e molti altri. Questa legge fu dettata anche da due fattori esterni: lamore per Roma, la cui unica grande fonte di reddito allora era Cinecittà, e lamicizia con personaggi del calibro di Anna Magnani e, soprattutto, Alberto Sordi. 

Dopo i mandati da sottosegretario, la carriera politica di Andreotti fu tutta in salita, tant’è che il giornalista Mino Pecorelli, rievocando Cesare, lo soprannominò «il Divo». Sette volte ricoprì la carica di Presidente del Consiglio, trentaquattro quella di ministro. Fu per un mese ministro dellInterno, nel 1960, sotto il governo Fanfani I: poco tempo, ma degno di nota, poiché fu il primo democristiano di seconda generazionea conquistare un Ministero. Nel successivo governo il premier Scelba lo tenne fuori per timore di avere un leader rivale allinterno della Dc. Il suo operato come ministro delle Finanze, governi Segni I e Zoli, è descritto da Tommaso Baris in Andreotti. Una biografia politica: «In quel ruolo sostenne ceti medi, professionisti, ma anche imprese, senza rinunciare allintervento straordinario e ad altri strumenti di governo statale delleconomia per lo sviluppo delle aree più arretrate», dimostrando la sua convinzione che la Dc dovesse «occupare il centro del sistema politico, restando baluardo dalle estreme dei missini e social-comunisti». Tuttavia, la sua duttilità lo spinse, nel tempo, a formare alleanze con questi ultimi, soprattutto con il Partito Socialista Italiano (Psi). 

Dal 1959 al 1966 (governi Segni II, Tambroni, Fanfani III e IV, Leone I, Moro I e II) occupò il Ministero della Difesa. Nel 1964 il generale Giovanni de Lorenzo, comandante generale dellArma dei Carabinieri (sotto il controllo del Ministero della Difesa), per ordine o richiesta del Presidente della Repubblica Antonio Segni in persona, teorizzò il Piano Solo, che prevedeva loccupazione da parte dei Carabinieri delle istituzioni politiche e delle direzioni dei giornali per scongiurare larrivo del Partito Comunista Italiano (Pci) al potere. Il piano fu rivelato dal fondatore di «Repubblica» Eugenio Scalfari in una serie di articoli apparsi su «LEspresso» nel 67: «Allultimo momento, quando già le brigate dei carabinieri sono consegnate nelle caserme ed il piano Emergenza Ssta per scattare, i protagonisti saccorgono daver montato una macchina più grande di loro e vengono presi dalla paura. [] È stata una questione di ore. Il paese è stato ad un passo dal colpo di Stato militare» (I generali e la politica, 14 maggio 1967); «Il generale De Lorenzo, di propria iniziativa o con lappoggio del Presidente della Repubblica, mise in esecuzione misure di carattere straordinario, attraverso riunioni che erano in realtà dei complotti e attraverso decisioni eccezionali e niente affatto giustificate dalla situazione dellordine pubblico. [] Quelle misure e quelle decisioni non erano state autorizzate da nessuno e non erano neppure a conoscenza delle sole autorità costituzionalmente responsabili, e cioè il Presidente del Consiglio e il ministro dellInterno; erano perciò nettamente fuori della legalità» (Il processo De Lorenzo, 19 novembre 1967). Andreotti sapeva del Piano Solo? «Personalmente siamo convinti che lon. Andreotti non sia stato parte attiva nel determinare lo spionaggio politico del Sifar (il servizio dinformazioni militare, che raccolse dossier sui principali politici italiani, probabilmente per interessi legati al Piano Solo, nda), ma questo non lo assolve. Lex ministro della Difesa deve spiegare per quali motivi s’è volutamente messo la benda agli occhi. Fino a quando non lo avrà spiegato è colpevole quanto De Lorenzo, anzi molto di più» (Andreotti, campione del mondo, «LEspresso», 7 maggio 1967), scrisse Scalfari. Su questo tema, gli storici ancora discutono.  

Il suo primo governo durò quattro mesi, da febbraio a giugno 1972. Il secondo durò dal giugno 1972 al giugno 1973 e affrontò la crisi petrolifera del 1973, promossa da re Feisal dArabia Saudita, con misure come la domenica a piedi, in cui era vietata la circolazione delle automobili. Ottenne anche il permesso di costruire la moschea di Roma (di questo Andreotti era molto fiero). Il suo terzo governo durò dal luglio 1976 al marzo 1978.  

Il 16 marzo 1978 il Parlamento doveva votare la fiducia al governo Andreotti IV. Era il punto darrivo del cosiddetto compromesso storico, cioè la costruzione di unalleanza tra Dc e Pci, prima dallora acerrimi nemici, per formare un governo che allo stesso tempo favorisse delle riforme, garantisse stabilità e godesse di un ampio consenso nel Paese. Gli ideatori del compromesso storico furono Aldo Moro per la Dc ed Enrico Berlinguer per il Pci, interlocutori aperti e disponibili. Tuttavia, Berlinguer, allora segretario del Pci, non era del tutto convinto di sostenere un governo monocolore democristiano comera lAndreotti IV. Ma quella mattina accadde un fatto imprevedibile: un commando delle Brigate Rosse (Br) rapì Aldo Moro e uccise i cinque membri della sua scorta in via Fani, angolo via Stresa. Questo spinse il Pci a non votare né a favore né contro il governo, ma ad astenersi: questazione fu chiamata non sfiduciao appoggio esterno. Era chiaro ai vertici dei due partiti che in quel momento tutte le forze politiche mature dovessero restare compatte sulla linea non si tratta con le Br. Il Psi, invece, votò la fiducia al governo, ma sosteneva lurgenza di raggiungere un compromesso con i terroristi per ottenere la liberazione di Moro. Dopo cinquantacinque giorni di prigionia, il cadavere di Moro fu lasciato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, nella mattina del 9 maggio 1978. Su questo tragico evento e sui misteri che lo accompagnano si sono costruite numerose dietrologie, nessuna delle quali mai confermata, tra cui alcune che vedrebbero la destra democristiana, Andreotti in primis, come mandante del rapimento per via dellintrinseca ostilità al Pci.  

Negli anni Ottanta diminuì limpegno politico. Lunico incarico degno di nota è il ministro degli Esteri nei due governi del socialista Bettino Craxi. I due furono attori protagonisti della crisi diplomatica con gli Stati Uniti dellottobre 1985, detta crisi di Sigonella. Il 7 ottobre 1985 i terroristi palestinesi dellOlp, guidati da Abu Abbas, sequestrarono la nave da crociera italiana Achille Lauro, con più di quattrocento passeggeri a bordo, per ottenere il rilascio di cinquanta detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Un passeggero americano, il paralitico Leon Klinghoffer, fu ucciso e il suo corpo buttato in mare. Infine, i terroristi decisero di accontentarsi di un passaggio sicuro verso uno Stato arabo; così, lasciarono la nave e presero un aereo egiziano diretto a Tunisi. Tuttavia, il Presidente Usa Ronald Reagan decise che non si potevano lasciar andare i terroristi, dunque ordinò lintercettazione dellaeroplano, che fu costretto ad atterrare nella base Nato di Sigonella, in Sicilia. Gli americani volevano prendere i terroristi e processarli secondo il diritto americano, ma Craxi si oppose, perché erano in territorio italiano. Nella notte tra il 10 e l11 ottobre, a Sigonella i Carabinieri italiani e statunitensi erano armati luno davanti allaltro, aspettando lordine di attaccare. La tensione era alle stelle. Infine, Craxi ordinò di mettere i terroristi sotto la custodia italiana. Abbas fu fatto scappare. Il ministro degli Esteri condivise la linea craxiana, ma grazie a un rapporto privilegiato con lambasciatore Usa allOnu riuscì a ricucire i pacifici rapporti tra Italia e Stati Uniti. 

Tuttavia, sono molti i misteri e soprattutto le controversie che si racchiudono nel personaggio di Andreotti. Nel 1981, non compare nella lista pubblicata soltanto per metà — degli affiliati alla loggia massonica P2 (Propaganda 2), a cui erano affiliati imprenditori come Silvio Berlusconi e giornalisti come Mino Pecorelli e Maurizio Costanzo, che aveva il fine di sovvertire lordine democratico e riscrivere la Costituzione con toni più autoritari; tuttavia, il Gran Maestro della Loggia, Licio Gelli, disse di avere buoni rapporti con Andreotti, e dichiarò: «Io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti lAnello», cioè un servizio segreto parallelo e deviato, detto anche Noto Servizioin funzione anticomunista che si immischiava anche allinterno della società civile. Inoltre, sebbene sia stato assolto dallaccusa di mandante dellomicidio Pecorelli cioè lassassinio, il 20 marzo 1979, del giornalista scomodoMino Pecorelli, direttore di «Op», ad oggi rimasto ancora senza colpevoli , nella sentenza si legge che almeno sino al 1980 coltivò «amichevoli relazioni con i boss [mafiosi], ha loro chiesto favori, li ha incontrati» e mantenne «unautentica, stabile e amichevole disponibilità» verso Cosa nostra, tanto che agì «concretamente per agevolare il sodalizio criminale». Queste vicende sono cadute in prescrizione e perciò il Divo non ha scontato alcuna pena. Dichiarò il pentito Giovanni Brusca: «in Cosa Nostra cera la consapevolezza di potere contare su un personaggio come Andreotti». Andreotti si difese sempre dicendo che il suo settimo e ultimo governo (91-92) attuò le più imponenti politiche contro la mafia grazie al contributo di Giovanni Falcone al Ministero di Grazia e Giustizia guidato dallon. Martelli (Psi). Infatti, quando il 23 maggio 1992 Cosa nostra uccise Falcone, sua moglie e la sua scorta Andreotti capì che quellattentato era un segnale innanzitutto per lui: aveva tradito i clan. Così, saltò la sua candidatura al Quirinale, dove andò invece Oscar Luigi Scalfaro, suo collega di partito.  

Nominato senatore a vita da Francesco Cossiga nel 1991, non mancò mai a nessuna votazione importante, tranne una: quella per il nuovo Presidente della Repubblica nellaprile 2013 (che portò alla rielezione di Giorgio Napolitano). Il Divo, ormai novantaquattrenne, non poté recarsi al Parlamento per letà. Morì poco dopo, il 6 maggio. Comera ovvio per un personaggio del suo calibro, lopinione pubblica si divise anche alla sua morte. Renato Farina scrisse: «Nella camera ardente il volto di Andreotti era roseo, riposato. Non è mai stato così bello. Il profilo è quello di un capo Sioux addormentato. [] Ho notato che la famosa gobba non cera più, o forse era nascosta nella seta» (Il segreto di Andreotti è che non aveva segreti (a parte il gelato), «Tempi», 9 maggio 2013); Marco Travaglio scrisse: «Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese lontano durante la lunga veglia funebre per Andreotti a reti unificate []non può non pensare che lItalia abbia perso un grande statista, [] e ciononostante fu perseguitato con accuse false da un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine fu riconosciuto innocente. [] La verità, naturalmente, è esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria. Ma anche storica e politica. È raro trovare un politico che ha occupato tante cariche [] e ha fatto così poco per lItalia. [] Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere, fine a se stesso, del meglio tirare a campare che tirare le cuoia» (Giulio, eri tutti loro, «il Fatto Quotidiano», 7 maggio 2013). Lui, invece, della sua lapide disse: «Cosa vorrei sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. punto. Le parole delle epigrafi sono tutte uguali. A leggerle uno si chiede: ma scusate, se sono tutti buoni, dov’è il cimitero dei cattivi?». 

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