Catullo. Dissidi d’amore

di  Ludovica Giannini

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In un mondo che di fatto è lontano dalle narrazioni epiche di dei ed eroi, e che tuttavia per noi mantiene un sapore antico e mitico, Catullo ci dona le sue nugae, le sue sciocchezze, aderendo così alla poetica dei cosiddetti neoteroi, i poeti nuovi. Egli, ispirandosi alla tradizione estetica alessandrina di Callimaco, indaga il quotidiano e narra il semplice, dedicandosi ai suoi moti interiori. Il poeta prende la sua vita e fa di essa poesia, quella vita è segnata dall’amore.

<<Viviamo, mia Lesbia, e amiamo>>

Amiamo d’un amore che è vita, viviamo una vita d’amore, e chi meglio di Catullo sa che in quell’amore che arde e consuma si può celare un odio in grado di bruciare con una follia incontrollabile?

L’amore in Catullo è pervasivo, totalizzante: nella sua grande opera, il Liber catulliano, esso si insinua con invadenza e la sua passione si nutre di ogni cosa che incontra sul suo cammino, non saziandosi del semplice aspetto “platonico”, bensì rivelando un carattere profondamente erotico e sensuale. Catullo rinomina la sua amata musa Lesbia per proteggerla dalle possibili indiscrezioni e dicerie nate dalla loro relazione adulterina: Clodia, al di fuori dei suoi carmi, era una donna bellissima, colta, spregiudicata e sposata. I due si rendono protagonisti di un amore tormentato, nato da emozioni grandiose e terminato in ripicche e litigi, in cui le delusioni di Catullo si traducono in versi amari, sprezzanti.

Il labor limae che caratterizza il corpus catulliano non è esclusivamente riservato ad alcune delle più belle poesie d’amore mai scritte, esso talvolta rifinisce e cura sapientemente versi aggressivi e sprezzanti, d’un amore che si trasforma in odio.

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CARME 109.

Mi prometti, vita mia, che questo nostro amore sarà eterno e felice. O grandi dei,

fate che sia vero ciò che promette

e che lo dica dal profondo del cuore; potremo così mantenere per tutta la vita questo sacro giuramento d’amore senza fine.

CARME 42.

“Venite, endecasillabi, quanti voi siete

da ogni luogo tutti, tutti quanti, in qualsiasi posto voi siate. Una schifosa meretrice mi ritiene il suo burattino,

e si nega nel riconsegnarmi i nostri versetti, se soltanto voi poteste mandarlo giù.

Stiamole dietro, non lasciamole respiro. Chi sarà mai, vi chiederete?

Quella, che guardate camminare in maniera volgare,

che con quella boccaccia ride falsamente, e in maniera nauseabonda, simile a un cucciolo di cane della Gallia.

Circondatela, e non lasciatele respiro: “Schifosa meretrice, rendimi i versetti, rendimeli tutti, meretrice nauseante!”. [...]

La scandalosa Clodia non è l’unica protagonista dei carmi catulliani: tra amici, conoscenti e detrattori troviamo anche delle dediche ad un giovinetto di nome Giovenzio.

CARME 48.

“Se i tuoi occhi di miele, Giovenzio, mi fosse lecito baciare,

migliaia di volte io li bacerei

e non potrei esserne mai sazio, anche se più fitta di spighe mature fosse la messe dei miei baci.”

CARME 99.

“Mentre scherzavi ti ho rubato, soave Giovenzio, un bacio più dolce della dolcissima ambrosia Ma l’ho pagato caro. Per più di un’ora,

ricordo bene, mi hai messo in croce; cercando di giustificarmi senza riuscire,

con tutte le mie lacrime, a smussare la tua durezza.

Appena l’ho fatto, ti sei pulito con tutte le dita le labbra bagnate di tante gocce,

che non ti restasse niente della mia bocca

10 come se fosse la sporca saliva di una meretrice e ancora non hai smesso di darmi in preda

a un amore infelice e di torturami in tutti i modi, così che quel bacio, da ambrosia che era,

mi è diventato più amaro dell’elleboro amaro

Se questo è il castigo che infliggi al mio povero amore, d’ora in poi non ti ruberò più nessun bacio.”

Emerge ancora una volta la trasfigurazione subita dagli amori di Catullo, che, come il bacio rubato a Giovenzio, nascono dolci più dell’ambrosia per poi consumarsi nell’amarezza e nella delusione del rifiuto. Il Liber catulliano si rivela però più efficace che mai: il poeta vuole che le sue nugae giungano al lettore, desidera che suscitino emozioni forti e travolgenti come l’epica non sa fare, le “sciocchezze” del nostro poeta vengono sfruttate come strumento di connessione alle “sciocchezze” del lettore. L’amore di Catullo risulta umano e vivo proprio per i suoi idilli e per i suoi tradimenti, suscita sgomento e meraviglia come anche scandalo e riso, ci connette al poeta e ce lo mostra vero.

Lontani dalle favole degli dei e degli eroi, gli uomini possono essere rapiti dall’amore soltanto, spetterà a Catullo decidere se declinarlo in sogno o tormento.

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